ETTORE SE N'È ANDATO - Un anno fa, il 13 Marzo 2017, Ettore ci lasciava. "Il Mantello di San Martino" ha voluto ricordarlo

Questa è una storia triste, e non potrebbe essere altrimenti. Una storia che potrebbe diventare un romanzo, o forse un saggio, se trovasse uno scrittore. Una persona capace di scrivere con la volontà di scrivere di una triste storia. Una di quelle storie delle quali è piena l'umanità, ma che gli uomini cercano di non vedere e le donne di nascondere. Una storia della quale non si sentiva il bisogno e che fa traballare i rapporti col Divino, comunque si chiami e dovunque lo si veneri. Una storia triste capace di sollevare solamente interrogativi, e di schiacciarti sotto il peso delle risposte rimaste mute.
Io Ettore non l'ho mai conosciuto, ho conosciuto Sua Madre e dopo un po' Suo Padre. La loro storia è arrivata come arrivano le storie penose del sud, anzi del sud-est per essere precisi.
Da noi le storie sono spesso sole, inascoltate, confuse, incredibili ed infarcite; ed arrivano di nascosto, inaspettate, improponibili ed impresentabili. Incredibile quante siano le nostre storie impresentabili. Le nostre storie arrivano per lo più per sentito dire. E così avvenne. Sentii dire da una Collega del distretto sanitario di Brindisi che mi avrebbe chiamato la Mamma di un ragazzo con una strana malattia, comunque in fase avanzata. Per diversi giorni non seppi più niente, tanto da pensare che questa storia fosse andata altrove, o semplicemente non era voluta venire. Capitava spesso che le storie dei nostri Pz andassero altrove o si estinguessero, che scomparissero insieme ai loro protagonisti. E lasciassero un vuoto colpevole che sapeva di antico, di stantio, di acido; quasi mai di povertà, spesso di agiatezza.
Un giorno mi telefonò una signora con una voce bella e paziente, una voce addestrata da tempo a misurarsi con l'incredula fanghiglia dell'incredibile. E quella voce iniziò a parlarmi di Ettore. Io la fermai con gentilezza, non riuscivo a starle dietro, le chiesi di poter scrivere, di poter appuntare quanto mi stesse dicendo. Si trattò di una lunga ed articolata telefonata nella quale una Signora, paziente e consapevole, parlava con un medico, confuso e meravigliato.
Quella telefonata mi accostò ad un dramma del quale non intravedevo neanche la classica punta del solito iceberg, per un semplice motivo, questo dramma non aveva punte! era piatto e massiccio insieme,insormontabile e disumano.

Ceroidolipofuscinosi, mai sentita neanche per sbaglio. Neanche durante le lezioni di patologia medica, e sì che il nostro Professore era uno specialista nel trovare gli argomenti più insoliti e incasinati, quelli che non si capisce mai da dove siano usciti; quegli argomenti dei quali non parlano neanche i trattati di medicina che pure sono voluminosi. Quelli che di solito servono solamente per bocciare gli studenti sorpresi ed annichiliti, che subito dopo iniziano ad esibirsi in un nutrito e variegato nugolo di improperi, recitati fitti fitti, quasi senza riprendere fiato, che non escludevano nessuna delle componenti femminili della famiglia del Professore.
Mentre parlavo con la Mamma di Ettore, maturava chiara in me la consapevolezza di non star facendo proprio un figurone, anche se comprendevo benissimo di non essere stato né il primo e tanto meno l'unico medico ad essere scivolato su quel l'argomento; che poi non poteva definirsi un argomento, una patologia, una malattia. Mentre la Voce della Mamma di Ettore diventava sempre più calma e comprensiva, io intravedevo i contorni di un baratro, ecco cos'era o cosa doveva essere la ceroidolipofuscinosi, un buco nero che risucchiava tutta la famiglia trasformandola in qualcosa che non si comprende, più o meno come l'antimateria. Ma questo baratro era difficile da definire, come ho detto lo si poteva solamente intravedere, perché privo di una sua logica sanitaria.
Così iniziai a documentarmi. Su indicazione della Signora, mi misi in contatto con il Centro malattie rare di Verona. Un Professore gentile mi dette qualche informazione sulla natura della malattia, sulle caratteristiche, su i suoi effetti devastanti ;ma anche su quanto fosse subdola ed oscena, incredibile ed inaspettata. L'informazione della rete fece il resto.
Questa bestia era stata isolata in Finlandia! È difficile comprendere come, forse portata dai Normanni, ma si era incuneata due volte su due nel processo riproduttivo di una povera coppia della provincia di Brindisi; liberando così tutta la sua perfidia, minando irreparabilmente la vita dei ragazzi e distruggendo l'esistenza dei genitori.

Sono un anestesista che le cose della vita hanno condotto alla Medicina Palliativa. Mi occupo da 15 anni di ammalati in fase avanzata, dirigo l'Hospice della AUSL di Lecce. Non sono esperto in malattie genetiche, non appartengono alla formazione della mia disciplina.
So quello che tutti sanno o credono di sapere. Quello che la vita gli ha insegnato o, più spesso, tutto quanto la vita gli ha evitato; con l'aggiunta di qualcuna di quelle spelacchiose nozioni che i medici utilizzano per fare i tuttologi saputelli; mistificato da quella terminologia falsamente aulica dietro la quale usiamo nasconderci. Come si vede poco o niente. E certamente non sapevo e non potevo immaginare che potesse esistere una malattia genetica in grado di manifestarsi a distanza di circa 10 anni dalla nascita, proprio quando i genitori iniziano a sognare insieme con i loro bambini.
"Vede Dottore, nascono sani!!" mi disse la Mamma mentre io guardavo le decine di fotografie dei figli che letteralmente tappezzavano la parete principale della stanza occupata da Ettore. Nascono sani!! non era una affermazione, non era una esclamazione o una invocazione, era una disperata richiesta di dignità. Di dignità femminile, materna,umana. Voleva dire io li faccio sani, ma poi la malattia li strappa da me e li lascia cadere nel baratro..Un poco alla volta, tratto dopo tratto, burrone dopo burrone, disperazione dopo disperazione.
Quindi mi mise una mano sulla spalla e conficcò i suoi occhi nei miei, lo fece profondamente così da cinturarmi per non farmi scappare. Ebbi timore di ricevere qualche domanda, una richiesta, che mi estorcesse una promessa; niente di tutto questo, solamente una confidenza, di quelle che legano i cuori delle genti. "Quando finalmente ti dicono qual'è la malattia che si sta manifestando e a cosa andremo incontro, i bambini corrono ancora intorno a te, vogliono le patatine e ti chiamano Mamma!!" Rimasi immobile, trattenni il respiro, non azzardai nessuna parola, nessuna espressione o smorfia del viso, non provai a distogliere lo sguardo. Ero grato a quella donna sconosciuta per la capacità di mostrarmi il coraggio di una intera vita. Continuò: "avevo giurato a me stessa che avrei assistito mio figlio sino al Suo ultimo giorno, e così ho fatto sino ad oggi, combattendo ogni giorno, dannandomi ogni momento, annullandomi fino quasi a immedesimarmi in questo corpo che diventava sempre più immobile ed inespressivo"; continuava ad ancorarmi con gli occhi stanchi, profondi e spaventati; "adesso guardi cosa ho combinato!" disse indicandomi il letto dove il Suo primo figlio giaceva da anni.
Ettore era un corpo ben accudito; tracheostomizzato e collegato ad un respiratore automatico; nutrito tramite una pompa che riforniva direttamente lo stomaco attraverso una peg; inoltre correlato di tutte le malinconie che appartengono al moderno armamentario della scienza medica. Con una importante differenza: questo spiegamento di presidi sanitari di solito si usa per cercare di salvare la vita di un traumatizzato, qui erano applicate per non far andar via quel poco che ancora era lì. Credo che questo volesse dirmi la Madre, che poi continuò: "qualche volta vado a piangere in macchina, lontano, sola, per chieder scusa a mio figlio di averlo fatto tracheostomizzare e per tutto il resto che lo lega a quel letto!" nel trasmettermi la più intima e dolorosa delle Sue confidenze, vidi che i Suoi occhi allentavano la presa, erano meno intensi, meno profondi, incredibilmente più tristi e più lontani.
Vidi una donna angosciata; consumata dal coraggio quotidiano inutilmente profuso verso i Suoi figli; lasciata sola da una società incapace di aiutarti ma sempre pronta ad alzare l'indice; immersa in una notte che nessuna aurora boreale avrebbe mai fatto finire.
Ricoverammo Ettore nel settembre del 2016, passammo il capodanno insieme a lui, Sua madre e talvolta Suo padre. Ci lasciò a marzo dello scorso anno, a 27 anni. La madre lo vestì e gli mise una sciarpa di un azzurro vivo intorno al collo che gli scendeva sui due lati del torace, come usano i giovani del suo paese. Quei giovani con i quali Ettore non aveva mai giocato.

Enzo